60 anni sulle scene: con lo spettacolo “Il mio cuore è nel sud” Mariano Rigillo offre nel castello napoletano un florilegio del suo repertorio.
Sarà il cortile del castello simbolo di Napoli, il Maschio Angioino, ad ospitare la festa per i sessant'anni di teatro di Mariano Rigillo: nella sua città e nel programma di Estate a Napoli, che a sua volta festeggia il quarantesimo anniversario sotto l'egida dell'Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli di Nino Daniele.
Per le serate di giovedì 12 e venerdì 13 settembre è stato costruito uno spettacolo su misura, con una selezione dei brani più belli del suo repertorio ed al fianco di noti attori napoletani, amici e compagni di avventura. Sul palcoscenico troveremo anche Anna Teresa Rossini, Ruben Rigillo, Silvia Siravo, Francesco Maccarinelli, Umberto Zamuner, Maria Sbeglia, Emilia Zamuner, Riccardo Zamuner e Antonio Sinagra; la direzione artistica è Norma Martelli, la regia di Pierluigi Iorio.
È lo stesso attore a raccontare in conferenza stampa l'iniziativa:
"Per il compimento del mio 60° anno teatrale, ho voluto chiedere al pubblico napoletano, a cui tanto devo, di incontrarci nel cortile del Maschio Angioino, per festeggiare insieme. Ci voleva uno slogan o un titolo che fosse il manifesto della serata; ed ecco che un grido è esploso nella mia mente: Il mio cuore è nel sud! Mi è subito piaciuto, e non solo perché è il titolo della prima opera del mio amatissimo amico e maestro Peppino Patroni Griffi con cui vinse il Prix Italia nel 1949 (per la musica ebbe come compositore il grande Bruno Maderna), ma anche perché è senza dubbio la prima ragione che ha accompagnato (e che tuttora accompagna) gran parte della mia via artistica. Nel silenzio ho udito le meravigliose parole di autori a me cari e familiari che si contendevano il posto nella casa dei ricordi. Nel pronunciarle ancora una volta ho provato una grande gioia e immediatamente mi è sembrata cosa bella immaginare di condividerla con tutti coloro che vorranno onorarmi della loro presenza nelle due serate che porteranno questo titolo, che significa anche altro: la costante attenzione a quello che ci accade intorno dal punto di vista culturale, e l'umiltà nel sapere che bisogna sempre il giorno dopo essere meglio di quello che sei stato il giorno prima, dal punto di vista della preparazione artistica e culturale. Io credo all'attore istintuale, perché è un aspetto importantissimo per un attore, però l'attore poi deve imparare culturalmente a guidare il proprio istinto, altrimenti non raggiunge i suoi obiettivi”.
Ci presentiamo al via con Masaniello di Elvio Porta e Armando Pugliese, che fu uno spettacolo storico per Napoli e per me, con una sorpresa: alcuni filmati d'epoca ritrovati e quindi inediti. Poi ancora naturalmente Viviani, Eduardo, Di Giacomo, F. Russo, Stefano D'arrigo, Dante (perché no?), fino al grande Bardo, Shakespeare. Ci siamo anche permessi, non da soli ma supportati da molti studiosi, di dubitare della purezza anglosassone del Bardo attribuendone la penna a due scrittori cinquecenteschi del nostro sud, Michelangelo Florio e suo figlio John".
È un periodo difficile e forse confuso, per i giovani che intraprendono questa strada. Quali consigli può dare?
Io sono molto realistico quando parlo con i giovani: oggi la situazione del teatro è molto dura e difficile perché è stata purtroppo regolata da persone che non sanno cos'è il teatro, e sono state create delle regole che non vanno d'accordo con il nostro lavoro. Il teatro soffre per questo, soffre moltissimo, da un punto di vista non solo espressivo ma anche occupazionale. Quindi ai giovani che vogliono fare teatro, dico anzitutto che la prima cosa da fare è quella di prepararsi e di studiarne la grammatica: che sia la mia scuola (la Scuola del Teatro Stabile di Napoli, n.d.r.) o l'Accademia di Arte drammatica o il Piccolo Teatro... tutti i mestieri hanno bisogno di una scuola in cui essere appresi; e poi chiedo di guardare veramente dentro di sé, per capire se c'è una vera esigenza oppure no, perché se c'è una vera passione alla fine si sopporta tutto e si superano gli ostacoli, anche soffrendo. Ma se non c'è questa vera passione, quella di una volta che si chiamava vocazione, allora è meglio smettere.
Oggi ci sono tanti specchietti per le allodole, come la fiction o la soap opera, e causano questa voglia che non nasce da una lettura, da una consapevolezza culturale, dal sapere a che cosa serve il teatro... Bisogna pensare che dal punto di vista comunicativo il teatro è l'unica arte espressiva che si fa da uomo a uomo, da persona a persona! Le altre si fanno sulla tela, sul marmo, con la pellicola o adesso col digitale, ma questa è l'unica arte dove ci si può toccare, quindi bisogna sapere che andiamo a fare una cosa che pretende la nostra disponibilità totale, dalla testa ai piedi, anche da un punto di vista corporale”.